La discussione sulla riapertura del Teatro Apollo ha visto, in questi giorni, susseguirsi
dichiarazioni e interventi che suscitano enorme interesse, quantomeno per chi, come
me, fa la professione di regista e di direttore artistico.
Vorrei sviluppare alcune riflessioni, proprio partendo da alcune delle ultime
dichiarazioni. La riapertura del Teatro Apollo è un evento importante non solo per i
soldi pubblici che sono stati spesi e che costringono tutti, sia amministratori che
cittadini, ad un’attenta ipotesi di utilizzo.
Per ogni grande contenitore di eventi culturali è tendenza ampiamente consolidata e
diffusa il tentativo, innanzitutto, di costruire un sistema articolato ed avanzato. Non
ha senso, e non ha molta prospettiva, considerare il Teatro Apollo come una entità
isolata che organizza un cartellone per la stagione di prosa con qualche spruzzatina di
eventi lirico-sinfonici. Il Teatro Apollo può avere un ruolo centrale nel momento in
cui riesce ad inserirsi in un contesto articolato di offerta culturale che preveda
l’interazione tra differenti spazi e strutture che devono accettare la sfida per 365
giorni all’anno.
In questo senso è fondamentale la capacità di tutti di rendere Lecce non una città
aggredita dal turismo mordi e fuggi, ma luogo di vivacità culturale reale. Per fare
questo ci si dovrebbe liberare dalla terribile scorciatoia dei grandi eventi che possono
dare – ovviamente – un’enorme risposta di pubblico in termini di numeri, ma non
sono nella maniera più assoluta sufficienti per costruire un reale profilo di offerta
culturale di un territorio che va ben aldilà della cittadina leccese. Da qui parte
l’importanza delle strategie da adottare e delle sinergie da promuovere. Perché in
gioco è che tipo di città pensiamo per i prossimi venti anni. Il grande evento, come
detto, funziona un poco come il grande nome. Un’idea provinciale che non consente
di dare risposte adeguate ad un contesto in forte trasformazione. Una scorciatoia che
nutre una grandeur ridicola e irreale. Una scorciatoia che consente di non
programmare e gestire, ma di navigare confusamente a vista.
La prima risposta per sfuggire a questa inutile prospettiva è considerare, dunque, il
contesto più ampio dell’offerta culturale a Lecce. Teatro Romano, Anfiteatro, Teatro
di Rudiae, Teatro Paisiello devono costituire un sistema integrato di offerta culturale
capace di attrarre pubblici differenziati tra loro. Questo sistema deve inoltre interagire
con altri spazi (pubblici e privati) capaci di offrire un ventaglio di proposte variegate
per differenti tipologie. Questo sistema, come è evidente, non può essere pensato
solo attraverso l’offerta del cartellone della stagione di prosa.
Dal 2010 Astragali Teatro svolge la propria residenza teatrale al Teatro Paisiello di
Lecce. Il Teatro Paisiello è divenuto senza ombra di dubbio il teatro della città, non
solo per il fatto che è il teatro municipale. Per fare ciò sono entrati in azione differenti
livelli sia istituzionali che artistici. Ma, innanzitutto, al centro c'è stata la chiara
necessità di aprire il Teatro della città alla città. Per fare ciò sono state attuate
differenti strategie di coinvolgimento e (oggi si direbbe con un anglismo) di coworking,
dove non ha operato solo Astragali, bensì vi è stato un affiancamento di
diversi soggetti capaci di offrire un prodotto variegato, che ha portato il Teatro
Paisiello dalle 45 giornate di apertura all’anno ad avere 300 giornate di apertura.
Questo esempio - piccolo rispetto alla ben più complessa sfida che si muove dalla
questione del Teatro Apollo - ha visto la presenza di Comune e Regione al fianco de
facto, dell'Università e dell'International Theatre Institute dell'UNESCO, di
compagnie professionali di teatro, ognuna con la propria autonomia artistica e di
proposta, del circuito regionale dello spettacolo e del mondo della scuola dalle
primarie alle superiori, di operatori del teatro e della danza, dell’improvvisazione
teatrale e dell’offerta a prezzi accessibilissimi (penso al teatro a 99 centesimi).
Differenti operatori e il tentativo di recepire le molteplici esigenze di una città in forte
trasformazione. In questo senso pensare ad un sistema complesso significa
raccogliere la sfida che vede il nostro territorio tra gli ultimi posti per numero di
lettori di libri.
Queste sfide si vincono dimostrandosi all’altezza della complessità, con una idea di
intervento capace di capire quali siano i reali protagonisti della vita culturale di un
territorio.
Chi opera nel teatro? Chi nella danza? Quali sono le agenzie formative? Come
mettere assieme realtà (inspiegabilmente) separate come Università, Conservatorio e
Accademia? E tutto il mondo della Scuola non è forse oggi chiamato ad assumere
una sfida più importante per il futuro occupazionale delle future generazioni? Non
può anche questo essere il terreno della formazione di concrete reti che facciano fare
un salto di qualità al nostro territorio?
Vorrei spendere due parole sul ruolo strategico delle residenze artistiche.
La residenza artistica, in tutta Europa, è una forma di Teatro che si innerva in una
Comunità. Ne diviene luogo di incontro umano e pensante, passionale e civico. La
forma delle residenze è un modello di intervento a 365 gradi che, partendo dalla
Puglia, ha coinvolto tutte le Regioni d’Italia. Ora questo modello è entrato nella
nuova legge sullo spettacolo e rappresenta, pur nelle mille difficoltà, uno dei pochi
elementi positivi di novità nel panorama delle attività connesse al teatro. Mentre
scrivo, mi trovo a Udine, dove si sta svolgendo il secondo incontro nazionale delle
Residenze teatrali, promosso dal MIBAC. La discussione su questo tema in questi
mesi è stata molto vivace e aperta, a testimonianza di una grande vitalità a dispetto
delle risicate risorse messe a disposizione. Perché è importante questo riferimento
alle residenze teatrali? Perché la risposta più efficace per quello che riguarda la
gestione del Teatro Apollo deve prima di tutto partire da una attenta osservazione di
quello che un territorio è realmente e di quelli che sono altri modelli operanti a livello
regionale, nazionale, europeo e internazionale. Sembrano delle banalità di base, ma è
necessario prima di tutto vedere come Bari (città che vede la presenza di teatri
pubblici di altissimo prestigio e costo di gestione come il Petruzzelli e il Piccinni,
affiancati a teatri ‘privati’, ma fondamentali nella storia degli ultimi trent’anni di Bari
come Abeliano e Kismet) e Brindisi (con il non meno costoso Teatro Verdi) hanno
pensato la propria gestione. Bisogna essere capaci di osservarne aspetti positivi e
limiti, e da lì trarne indicazioni importanti.
Così per il paino internazionale. Sappiamo come funziona il teatro in Albania o in
Grecia? Il Teatro Nazionale di Tirana o i Teatri municipali di Corfù e Ioannina che
esigenze hanno? Il Teatro Nazionale di Atene come elabora la propria strategia di
intervento, come si relaziona con la prestigiosa Fondazione Kakoiannis? Faccio solo
esempi di strutture dove Astragali ha lavorato in questi anni. Ma questi sono i
soggetti che un territorio che si pensa come attrattore deve essere capace di osservare,
deve essere capace di avere come proprio alleato in una visione molto più lunga e
strategicamente importante.
Le fondazioni sembrano rappresentare lo strumento adeguato per dare autonomia di
gestione e per non gravare sulle casse debilitate delle amministrazioni comunali.
Ma la capacità gestionale si deve, sempre, coniugare con una visione artistica
complessa ed adeguata ai tempi. Non è lo strumento Fondazione di per sé che
garantisce questo. Le precedenti gestioni del Petruzzelli, ad esempio, ci devono fare
riflettere molto sui rischi che possono rappresentare. Altre Fondazioni hanno
dimostrato di poter esistere solo attraverso un sostegno, non più possibile, di autorità
pubbliche.
Servono profili adeguati, figure che, se ci si mette a ben guardare, già esistono nel
nostro territorio, ne rappresentano l’eccellenza, costituiscono l’appeal più profondo e
qualificante. Certo, qualcuno continua a pensare questi luoghi come la costiera
romagnola del nuovo millennio. Ma ciò che chiama l’attenzione di platee sempre più
vaste è costituito da una proposta molto variegata e complessa che non è solo il
divertentismo o la movida.
Questo è anche un grido di allarme per promuovere – e proteggere – la nostra
bellezza. Anche Gallipoli e Otranto dovrebbero essere pensate in questa direzione.
Luoghi dove il turismo di massa rischia di impattare in maniera devastante se non
accompagnato con una attenzione straordinaria verso la salvaguardia del patrimonio
naturale e culturale.
Sempre più persone approdano in questo luogo, non più periferico sebbene ancora
molto provinciale, attratte da un’offerta che allude ad una profondità e ad una
bellezza non solo naturale.
Allora bisogna mettersi a guardare con attenzione. Abbiamo mote professionalità di
alto profilo presenti nel territorio. Perché non accettare la sfida che oggi abbiamo
davanti a noi? Perché non pensare questo territorio con una prospettiva rigorosa di
crescita complessiva? Perché non costruire un sistema integrato dell’industria
creativa che sia in dialogo con le politiche culturali del territorio, che ne sia
strumento di coesione con la variegata galassia dell’associazionismo?
Un'ultima cosa, un poco eccentrica e un poco erudita. Ad Apollo sono sacri i lupi, e
questo ha sicuramente a che fare con Lecce. Ma gli sono sacri anche i cigni e le
cicale, e forse anche questo da un certo versante può avere a che fare con questa città
bella ed effimera. Ma non possiamo dimenticare che altri animali sacri al figlio di
Giove e di Latona, siano i falchi, i corvi ed i serpenti. Non vorrei che, in questo
dibattito, prevalessero le qualità peggiori di questi sacri animali, perché il Teatro
Apollo è, innanzitutto, un teatro dove una comunità sogna se stessa.
Fabio Tolledi
Direttore artistico di Astragali Teatro
Presidente dell’Italian Centre dell’International Theatre Institute- UNESCO
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